ESASPERAZIONE FIGLIA DELLA “SCAMPIA” DELL’ADRIATICO

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Articolo di Andrea Zambrano pubblicato il 9 febbraio 2018 su La nuova Bussola Quotidiana.

“Fino a quando Hotel House resterà zona franca sarà difficile vincere l’ostilità che si è manifestata a Macerata e dintorni verso gli stranieri che delinquono”. E’ una storia nella storia, ma nessuno ne parla, perché spesso i problemi, quelli veri sono coperti dalle strumentalizzazioni. E in giorni come questi avvelenati dalla campagna elettorale le ragioni nascoste sono in grado di spiegare più di un raid o un comizio.

Il magistrato Alfredo Mantovano la storia di Hotel House la conosce bene perché era già un girone infernale a cielo aperto quando era Sottosegretario agli Interni alcuni anni fa. Ma nel caos che odora di toni da guerra civile, molte spiegazioni possono arrivare da questa scandalosa “Scampia” dell’Adriatico.

“Hotel House – spiega Mantovano alla Nuova BQ – è una megastruttura costruita nella seconda metà degli anni ‘60 a Porto Recanati, 20 km a sud di Ancona e altrettanti in linea d’aria da Macerata. 17 piani, quasi 500 appartamenti, visibile dall’autostrada A14. Doveva offrire residenze confortevoli ai turisti e a chi lavorava nella zona e desiderava non vivere in città. Per ragioni varie, Hotel House è andato in degrado, ed è da anni occupato dalle 3.000 alle 4.000 persone, quasi tutte straniere, nessuna delle quali paga acqua ed elettricità, in condizioni igieniche penose.

Quindi la vera bomba sociale è questa?
Questo non è niente. Hotel House è il luogo nel quale si custodisce droga e la si distribuisce per la vendita. E’ rifugio di delinquenti di ogni tipo, libera da controlli.

Che cosa c’entra con i fatti di Macerata?
La consapevolezza che esiste una realtà di queste dimensioni e con queste caratteristiche, influisce non poco sulla percezione della sicurezza.

Vuol dire che i colpi sparati da Traini hanno una spiegazione?
Violenza e follia omicida non vanno mai neanche lontanamente comprese. Se però rimuoviamo anche la semplice domanda sul perché sono comparsi gli striscioni di solidarietà a Traini, e sul perché il suo ingresso in carcere è stato accompagnato da applausi, rinunciamo a capire che cosa accade.

Ci risiamo con l’equazione immigrato=delinquente…
Non cado in questi tranelli, ma il clima di esasperazione nel quale si inserisce il gesto criminale di Traini non dipende dalla presenza di migranti nelle nostre comunità, ma dal governo non adeguato degli aspetti patologici e sottolineo pa-to-lo-gi-ci del fenomeno. Se, tornando a Hotel House, si tollera una enclave composta in larga parte da delinquenti e da irregolari, dalla quale partono in continuazione le incursioni nelle zone circostanti, non c’è bisogno di predicare odio perché l’odio – lo ripeto, mai giustificabile – esplode.

Ma ad un certo punto bisognerà uscire da questa situazione.
Ho letto e ascoltato parole. La risposta dei fatti è però la sola efficace. Immaginiamo che il sistema sicurezza nel suo insieme, nel pieno rispetto delle regole, realizzi la bonifica di quella struttura, entrandovi in forze – come è necessario -, mandando in carcere i criminali che vi alloggiano e che hanno conti in sospeso con la giustizia, sequestrando armi e droga, notificando ed eseguendo espulsioni vere per gli irregolari.

Immaginato…
Trasmetterebbe fiducia a tutti, riducendo la preoccupante area di consenso verso singoli squilibrati. Certo, sono necessarie centinaia di unità di polizia, una magistratura pronta a dare seguito ai reati che verrebbero alla luce, un meccanismo di espulsioni ben funzionante. Ma diversamente non c’è alternativa.

Ritiene quindi che la vicenda di Pamela sia solo un problema di ordine pubblico, da affrontare con maggiore decisione?
Certamente no. Ci sono altri due fattori da prendere in considerazione. Il primo è la droga. Come ha ben ricordato il vescovo di Macerata monsignor Nazzareno Marconi, “Pamela è morta qualche giorno fa, ma ha iniziato a morire il giorno in cui si è lasciata convincere – quindi c’è un atto anche suo di volontà – che la droga poteva essere la risposta al suo problema di vivere”. Oggi è innegabile che circoli più droga rispetto a qualche anno fa: lo attestano i dati ufficiali del Dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio.

Una società sempre più disperata, è una facile analisi sociologica…
Aggravata da scelte precise. Di droga ne gira di più perché nella primavera 2014 il governo dell’epoca impose con voto di fiducia un decreto legge che, fra l’altro, ripristinava l’antiscientifica distinzione fra droghe pesanti e leggere, restaurava la non punibilità per la detenzione finalizzata “per uso personale”, eliminava l’arresto obbligatorio in flagranza per lo spaccio di lieve entità.

Con quali esiti?
Anzitutto l’aumento della parcellizzazione dello spaccio: in assenza di obbligo di arresto quando si è colti sul fatto se si hanno con sé poche dosi, ci si fa furbi e si viaggia sempre con poche dosi (il solo fastidio è di fare il su e il giù dal vicino deposito con maggiore frequenza). Ma a questo si aggiungono la riduzione al minimo delle sanzioni per i derivati della cannabis e infine l’incremento dell’area dell’impunità: lo spaccio, se effettuato con furbizia, è diventata attività simile, se non addirittura meno grave, a quella del venditore di sigarette di contrabbando di 30 anni fa.

Mano pesante anche sulla droga?
Desideriamo veramente che non si ripetano casi come quello di Pamela? Torniamo alla legislazione antecedente la pessima riforma di 4 anni fa. Nella Legislatura che si è conclusa si è giunti addirittura a un passo dalla legalizzazione delle droghe cosiddette leggere. La pesantezza di vicende come quella di Macerata dovrebbe aprire gli occhi a tutti. Si è perfino criticata la Comunità nella quale Pamela si trovava fino a poche ore prima di morire: ma, posto che quella comunità si è comportata in modo esemplare, è stato proprio il sistema del recupero a essere colpito dalla legge del 2014.

In che modo?
Nel 2016 su 32.687 soggetti “segnalati” al prefetto per detenzione di ogni tipo di droga solo 13.157 hanno ricevuto sanzioni amministrative. Ancora più sconfortante è il numero di coloro che, sollecitati dal Prefetto, hanno accolto l’invito ad avviare un trattamento di recupero: appena 122, circa lo 0.3%. E’ in calo pure il ricorso allo strumento dell’affidamento in prova per il recupero, finalizzato a evitare il carcere: da 3.328 del 2013 a 2.991 del 2016. Se la disciplina è rigorosa spinge ad affrontare i sacrifici del recupero; l’attenuazione del rigore oggi riduce l’area del recupero e lascia il campo agli spacciatori.

Poi c’è la responsabilità personale di ognuno di noi.
Infatti è il secondo fattore. Quando Pamela  lascia la Comunità viene raccolta da un passante nella sua automobile: non ha un centesimo e ha bisogno di denaro per comprare la droga. Lui, italiano, adulto, con un lavoro, trova in mezzo alla strada questa ragazza di 18 anni che potrebbe essere sua figlia e la tratta come merce. Le passa 50 euro – probabilmente quelli che a lei serviranno poi per acquistare la dose letale – e compra un rapporto sessuale con lei.

Nella accesa polemica pre-elettorale è sfuggito, al massimo lo si è descritto come un particolare di cronaca…
Invece a mio avviso è il dettaglio più importante: andava a finire allo stesso modo se quell’uomo avesse riaccompagnato Pamela in comunità o se avesse avuto verso di lei quella pietà mancata, oltre che a lui, a chi le ha passato la droga e poi l’ha fatta a pezzi? Una persona, come si dice, perbene, non spacciatore, non straniero, poteva recitare una parte diversa. Dopo, magari, questa stessa persona avrà inveito contro gli immigrati…