L’arto fantasma. Articolo di Marcello Veneziani

L’arto fantasma

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola

http://www.marcelloveneziani.com/articoli/larto-fantasma/

Ho passato mezza vita a difendere, motivare, ripensare la destra. E ho passato l’altra metà a riconoscere che è superata, tramontata, inadeguata. Per fortuna nel mezzo ho fatto e scritto molte altre cose che con la destra non c’entrano niente e che reputo più importanti.

Ma non mi sono risparmiato a scrivere, dialogare, scontrarmi nel nome della destra e fondare riviste e iniziative per dare alla destra una voce, un punto di riferimento; e per unire, collegare le destre sparse e le sue firme.

L’ho fatto quando la destra era un piccolo ghetto, per giunta diviso al suo interno tra destra politica e destra pensante, tra vecchia e nuova destra, tra destra nazional-conservatrice e social-rivoluzionaria.

L’ho fatto poi quando il mondo stava cambiando ed è sorta, anche con l’avventura de L’Italia settimanale, una destra riconosciuta da tutti, rilevante, che andava persino al governo, anche se non al potere, non lasciando poi tracce.

E l’ho fatto quando l’ho vista sfasciarsi, diventare altro, appiattirsi su un leader già piatto di suo, e sparire. E poi riaffiorare piccola e malconcia e riprendere fiato, fino a diventare almeno elettoralmente una forza pari a quella del Movimento sociale italiano.

E l’ho fatto nonostante la destra militante sia abitata da non pochi ottusi, inaciditi e maldicenti che la corrodono all’interno, sputando veleno su tutti, a partire dai vicini.

Ma si può ancora parlare di destra? È venuto giù il mondo, da noi è tramontato il bipolarismo con la sua perfetta alternanza al governo. La sinistra più grande non è più una sinistra politica ma continua a essere una sinistra bio-etica e “furbo-liberal”.

La sinistra più piccola stenta a trovare coesione per sopravvivere, così come il pulviscolo dei centrini, mentre impazza il centrifugo Movimento 5 Stelle, sintesi o rigurgito di Tutto. Infine l’ondivago Berlusconi, a geometria variabile, proteiforme, il primo leader liquido e labile.

La destra oggi viene identificata per ragioni numeriche, prima in Salvini e poi in Meloni. Sconforta però una cosa: se dici destra, al di là di uno, due volti televisivi efficaci, non vedi quasi niente. Non vedi un’area, un ambiente, un arcipelago mediatico, una classe politica, figure di rilievo, o che so, un movimento civico, una forza sindacale, circoli ricreativi, reti cooperative. Nulla, il Nulla.

L’eterno processo in contumacia

Però senti, leggi nei sottoscala semiclandestini della rete, un vivace corteo di opinioni affini. E vedi che in Europa, nel mondo, qualcosa che somiglia a una destra nazionale e popolare raccoglie rilevanti consensi.

Dalla parte opposta vedi crollare ogni progetto politico, sociale e culturale, superato dalla realtà e dalle sue conclamate urgenze: i flussi migratori incontrollati, la risposta al terrorismo, la richiesta di sicurezza, la voglia identitaria, la rivendicazione di sovranità, la tutela della famiglia e della civiltà.

E magari la vaga intuizione che c’è un patrimonio culturale, civile e naturale da salvare, o addirittura una tradizione, come nostra principale risorsa.

Tutte precondizioni per far fiorire la destra o qualcosa di simile, magari con altro nome. Invece comizi e piccole battaglie, diluite nel fiume del populismo dove c’è acqua sorgiva e torrenti impetuosi mescolati a reflui e fogne a cielo aperto. O si profilano vecchie alleanze elettorali: ma, vista l’esperienza passata, vincere per poi far cosa?

Intanto fuori, cresce un paradosso: travestita sotto la denuncia del razzismo, della xenofobia, dell’omofobia, della sessuofobia, dell’islamofobia, si nasconde in realtà una vera e propria psicosi con risvolti giudiziari, la destrofobia. C’è una dominante, pervasiva, ossessiva destrofobia in assenza dell’interessato, la destra. Un processo in contumacia.

La destra non è solo l’arto fantasma del quadro politico, civile, culturale, perfino bioetico. Ma è anche, non dico il capro espiatorio perché offenderei i riti sacrificali, la bad company su cui scaricare i mali della società.

Eppure quell’area, quella sensibilità, esiste sparsa e sottotraccia, è largamente e profondamente diffusa. Solo che in assenza di filtri, di luoghi in cui rielaborare il pensiero e rappresentare le opinioni, rischia di finire in un oscuro, viscerale, rancore, tra vituperi e imprecazioni.

Se non dai un volto, una testa, un cuore alla destra, rischi di scivolare in quella pancia in cui tutti i suoi nemici, moderati inclusi, vogliono ricacciarla per poi squalificarla. Non solo le Boldrini ma anche i Severgnini, tanto per citare pure sul versante moderato.

Mi sono accorto di una cosa: i principali impresari di quest’imbestiamento della destra, ridotta solo a lotta elettorale e leader da corsa e da video, sono proprio coloro che poi s’intristiscono, o fingono di intristirsi, perché non c’è in Italia una destra civile, colta, responsabile e credibile, prima che presentabile.

Ma è proprio quel che vogliono loro e se talvolta appare qualcosa, qualcuno, una voce, un gruppo di ragazzi, un libro, un’idea da quelle parti, subito scatta la finzione d’inesistenza, la cancellazione. I mondi residui della sinistra, dei moderati e i cattopardi bergogliani, amano denunciare il becerume della destra razzista ma rimuovono poi chi smentisce quello stereotipo e fa, pensa, scrive, fonda, a destra e paraggi, cose diverse.

Il “partito” della tradizione

Oddio, un punto di ripartenza, una casa comune e prepolitica a destra ci sarebbe, e avrebbe anche un patrimonio per svolgere un ruolo; dico la Fondazione Alleanza Nazionale, ma finora ha prevalso la paralisi dei veti incrociati e in taluni il progetto di usare quel patrimonio a fini subpartitici ed elettorali.

Eppure si potrebbero fare tante cose, trasformandola in un laboratorio in cui formare un’area d’opinione di destra, varare iniziative mirate, selezionare una classe dirigente futura, magari partendo da una sua ridenominazione: non ha senso evocare un partito morto male, col leader con cui s’identificava da dimenticare.

Peraltro, gran parte di quel patrimonio proveniva dal Msi di Almirante e non da An. Meglio dedicarla all’Italia, quella fondazione.

Alla fine la destra cos’è per un “intellettuale”? È il ponte mancante, il ponte di Eraclito figurato da Magritte, metà visibile e metà invisibile, che si riflette intero nel fiume e unisce due sponde: un pensiero, una cultura, una visione del mondo da una parte, e un paese, una civiltà e un’epoca dall’altra.

La sponda culturale e ideale resta viva in noi; le idee, i nostri autori, i libri che leggiamo e anche quelli che scriviamo, ci tengono compagnia, occupano i nostri pensieri e motivano già la nostra vita.

Ma sull’altra sponda, dov’è la nostra casa reale, abitano i nostri affetti, vive la nostra comunità o quel che resta di lei, insomma là dove c’è la nostra patria e la nostra matria, naturale e civile, prevale la decadenza e ancor peggio la percezione della decadenza, il sentore che tutto sia finito e che poco resti da salvare, eccetto se stessi e la roba, sibi et suis.

Si vorrebbe intero quel ponte per poter non dico trasferire ma perlomeno collegare quelle idee a quella terra, a quel popolo.

Sul piano politico oggi la destra nazionale e popolare potrebbe ritrovarsi in una triplice priorità: Prima gli italiani. Prima la famiglia. Prima il merito.

Il resto è chiacchiera, come professarsi liberali, moderati, europeisti e moderni. La destra è il “partito” della tradizione, la difesa della civiltà e della natura rispetto a quanti insorgono indignati se un cetriolo è geneticamente modificato ma poi insorgono indignati se qualcuno osa ridire su una persona geneticamente modificata.

Contro l’odiernità

Dopo la modernità non è venuta la postmodernità o l’ipermodernità ma l’odiernità, cioè la riduzione di tutto a un presente sconfinato. Lo sconfinamento di popoli, sessi, limiti, natura è la sua peculiarità.

La destra, o quel che vi s’intende, dovrebbe essere al contrario la connessione tra passato, presente e futuro, tra natura e cultura, tra ricerca e tradizione, tra cielo e terra.

E insieme il senso del confine, che non è il muro, come malignamente traducono coloro che peraltro erigono muri contro la destra; ma è la soglia da rispettare, sul cui limite confrontarci, la porta che si apre e si chiude, all’occorrenza, il senso della misura.

E quanto questo pensiero sia intriso nella vita quotidiana e nella storia in corso, nei problemi e nelle tragedie del nostro presente, lo vedete tutti. Ma poi, mi dico, non si può passare la vita a immaginare una destra che non c’è. Meglio pensare ad altro, scrivere di altro.

Postilla per Fini personali

Postilla per Fini personali. I residui finiani che continuano a baciare la mano al boss nonostante tutto quel che emerge (oltre lo sfascio politico, il discredito morale, il tradimento ideale, ora anche la squallida vicenda giudiziaria), s’indignano con chi come me critica l’ex leader della destra e mi ricordano che fui consigliere della rai “in quota Fini”.

Ora, a parte il paradosso che dovrei vergognarmi io e non piuttosto lui e loro per quel che lui ha combinato, ormai sotto gli occhi di tutti, vorrei far notare:

1. Ho fatto tante cose in vita mia oltre che il consigliere Rai, ho scritto una trentina di libri, ho fondato riviste che hanno avuto un’incidenza politica sulla destra, ho diretto fondazioni, ho scritto per una marea di quotidiani e riviste non di area, ho lanciato idee, proposte, iniziative.

2. In Cda Rai non chiesi io di andarci e tantomeno volli restarci. Fui nominato, se permettete, “per chiara fama” e non per grazia ricevuta. Credo di aver dato molto alla “destra”. E anche alla Rai, nonostante abbia capito che l’impresa di riformarla è impossibile, si ri-forma sempre uguale a se stessa, con tendenza al peggio. Nella vita ho avuto più danni che “benefici” per essere stato sempre di destra, nella buona e nella cattiva sorte, prima, durante e dopo la destra politica, a volte nonostante la destra. Vi risparmio l’elenco.

3. Fu la destra politica a porre veti e a far chiudere editrici, direzioni, riviste, come L’Italia settimanale, che avevo fondato senza alcun aiuto della destra. Non bastavano le censure di regime e i cordoni sanitari dell’intellighenzia organica… Ho scritto in libertà per il Giornale di Berlusconi; quando le mie opinioni furono molto divergenti dall’editore fui costretto ad andarmene.

4. Critico Fini da anni, apertamente. E sarei un miserabile se non lo facessi solo in memoria della Rai (che forse è l’unica cosa che mi pento di aver accettato). Allora sì che asservirei l’etica professionale e la passione di verità a un meschino fatto personale. Chissà quante volte avrò sbagliato in vita mia, ma con la testa mia, non mi sono mai adattato con vile e servile furbizia ai capi e ai diktat di partiti, clan e giornali. Non bacio le mani a chi ha sepolto la destra in Italia, senza onore.

MV, Tempi