LE RAGIONI DELLA DESTRA PER IL SI AL REFERENDUM PER L’AUTONOMIA IN LOMBARDIA

LOMBARDIA PIU’ AUTONOMA, ITALIA PIU’ FORTE

LE RAGIONI DELLA DESTRA PER IL SI AL REFERENDUM.

 

Il popolo della destra da sempre realista ed intelligente nel senso dello sguardo sulla realtà, anche in questo frangente del referendum per l’autonomia della Lombardia guarda al bene comune che è determinato dalla giusta perequazione tra il prelievo fiscale nazionale e la restituzione in termini di riconoscimento della virtuosità della Regione.

Si tratta oggi di portare il dovuto rispetto ai nostri valori fondamentali di Sovranità e unità nazionale.  Non possiamo tornare ad un nazionalismo di tipo giacobino che vede la Nazione come un’entità statalista e centralista che si sovrappone ai cittadini cancellando ogni differenza e ogni appartenenza locale. Lo stesso Marcello Veneziani lanciò negli anni passati il fortunato slogan “la grande Patria si fonda sulle piccole Patrie”, proprio per sottolineare il fondamento articolato e pluralista della comunità nazionale.

Ma c’è un altro motivo per questa nostra scelta: il rifiuto sistematico dell’egualitarismo e del livellamento di meriti e valori. Come rifiutiamo una logica comunista che massifica i meriti e i redditi degli individui e delle famiglie, così dobbiamo rifiutare una impostazione centralista che livella la capacità di sviluppo dei territori. Non possiamo ignorare che – come ha più volte sottolineato Stefano Bruno Galli – la sola Lombardia ha un residuo fiscale (ovvero soldi pagati attraverso le tasse che non ritornano in alcun modo sui territori di provenienza) di 56 miliardi di euro, il più alto di tutta Europa.

Certo, sono necessari dei bilanciamenti per evitare una posizione di vantaggio assoluto per il Nord Italia. Non a caso noi proponiamo la costruzione di una Macro-regione Meridionale che unifichi tutte le regioni del Sud della nostra penisola, proprio per creare un contraltare istituzionale in grado di rappresentare realmente le ragioni del Mezzogiorno. Non solo: crediamo che sia fondamentale la riforma istituzionale per l’elezione popolare del Presidente la Repubblica, investendolo del ruolo di rappresentare la sovranità e l’unità nazionale su tutti i tavoli interni ed internazionali. Ma, anche in questa prospettiva, non possiamo non dare una risposta ai popoli del Veneto e della Lombardia che chiedono di liberare le proprie potenzialità di sviluppo trattenendo sui propri territori una quota maggiore della ricchezza che producono, senza sottostare ai vincoli di uno Stato centrale ancora oggi pesante e lontano

È proprio l’urgenza della rivisitazione delle percentuali di prelievo fiscale da parte dello Stato Italiano, finalizzata ad una maggior produzione di ricchezza che ridondi a favore di tutta la nazione italiana, che determina l’uomo di destra a scegliere per il SI al referendum.

Il regionalismo ha dato dei risultati territoriali profondamente differenti: in alcune realtà ha funzionato bene, in altre meno bene, in altre affatto.

E infatti il problema non è il regionalismo, ma il riconoscimento delle peculiarità di una comunità dislocata su un particolare territorio.

I lombardi sono prima di tutto una comunità con aspirazioni, desideri, cultura, impostazione esistenziale che ha sempre teso a produrre per il bene proprio e della propria comunità territoriale e nazionale.

Basta scorrere la graduatoria del residuo fiscale per comprendere la portata di ciò che sostiene l’elettore di destra: la differenza tra i trasferimenti allo Stato e quanto torna indietro per onorare le spese locali e statali vede al primo posto la Lombardia, seguita dal Veneto e dall’Emilia-Romagna pressoché appaiate e solo successivamente dal Piemonte e dalla Toscana.

E la somma del residuo di Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna e Veneto, non fa quello della Lombardia.

Con l’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001, il regionalismo differenziato è stato introdotto nell’articolo 116 terzo comma. Alle regioni a statuto ordinario che hanno i conti in ordine, la Costituzione offre l’opportunità di chiedere al governo dei margini di maggiore autonomia politica e amministrativa. L’unica regione che ha provato a intavolare la trattativa per percorrere la strada del regionalismo differenziato è stata proprio la Lombardia, nel 2007. Tuttavia senza successo. Le trattative naufragarono perché cadde il governo in carica allora, il governo Prodi, ma anche perché alle spalle delle trattative non c’era stato il coinvolgimento dell’opinione pubblica lombarda.

Per questa ragione, ricorrere alla consultazione referendaria del popolo lombardo come premessa della trattativa con il governo allo scopo di legittimarla e rafforzarla, rendendola più incisiva, è fondamentale.

Nel contesto attuale si chiede al popolo lombardo se è d’accordo a procedere risolutamente lungo la strada costituzionale dell’autonomia, per ottenere un congruo numero di nuove competenze legislative e amministrative.

Anche perché la Lombardia si merita sino in fondo quelle condizioni particolari di autonomia alle quali punta da qualche anno per effetto della sua incontrastata leadership a livello europeo dal punto di vista economico e produttivo, pur nella crisi in atto.

Con la Baviera, il Baden Württenberg e la Catalogna, è uno dei «Quattro motori» dell’Europa.

E la prospettiva di una Lombardia più autonoma dal punto di vista economico e amministrativo è una delle occasioni per alleviare i drammatici risvolti di questa crisi che si sta abbattendo sulle famiglie e sulle imprese.

In un’epoca di profonda crisi morale, economica e sociale, la Lombardia deve riuscire a tutelare la produzione economica dall’erosione fiscale e contributiva operata dallo Stato centrale sui gettiti locali. Il che ridonderà a maggior vantaggio di tutta la Nazione.

L’obiettivo di ottenere una maggiore autonomia regionale, che significa ottenere una maggior porzione di non-dipendenza dallo Stato centrale, è oggi la soluzione migliore per contrastare la crisi economica.

La Lombardia, che è regione virtuosa grazie alle proprie tradizioni spirituali, politiche e civiche, possiede dei requisiti quali la capacità economica e produttiva, quella contributiva e fiscale.

Il suo residuo fiscale grava su ogni cittadino lombardo e sfiora i 56mld di euro.

La scorsa estate, il Censis ci ha rivelato che se tutte le regioni adottassero i criteri di erogazione dei servizi della Lombardia si risparmierebbero miliardi di euro. La spesa pubblica pro-capite per ogni abitante lombardo è di gran lunga inferiore a quella delle altre regioni. E il Financial Times nel marzo del 2016 ha scritto che la Lombardia è al vertice europeo anche per quanto attiene gli investimenti esteri: è davvero molto attrattiva.

Per queste ragioni, a livello internazionale le più accreditate agenzie di rating come Moody’s hanno riconosciuto un titolo di merito creditizio alla Lombardia, insieme alle province autonome di Trento e di Bolzano, superiore a quello dello Stato di Roma. Insomma, la Lombardia è di gran lunga più virtuosa dello Stato centrale.

Perciò ha tutte le carte in regola per reclamare attraverso gli strumenti istituzionali disponibili la propria autonomia politica, amministrativa e fiscale.

Referendum consultivo e trattativa ex 116/c. 3 Cost.: questa è la strada individuata.

Vinto il referendum, a fronte delle maggiori competenze richieste, si possono intavolare le trattative su una ventina di materie, tra quelle indicate nel terzo comma dell’art. 116 Cost., si può puntare alla riduzione del residuo fiscale allo scopo di trovare le risorse necessarie per gestire, con la virtuosità di sempre.

Si potrebbe negoziare sulla riduzione del residuo in cambio dell’attribuzione in via esclusiva di competenze concorrenti e dell’assolvimento di servizi oggi garantiti dallo Stato centrale: minore spesa in uscita e più qualità nei servizi erogati, a beneficio della collettività anche nazionale.

I temi di trattativa potrebbero essere fra l’altro il commercio con l’estero, l’istruzione, la sicurezza sul lavoro, la tutela della salute, la protezione civile, le grandi reti di trasporto, l’energia, aziende di credito a carattere regionale, ed altre ancora.

È maturo il tempo in cui nel nostro Paese si adottino dei criteri premiali, basati sul merito determinato dalla virtuosità dei diversi territori. A fronte della manifesta virtuosità del popolo lombardo e dell’istituzione regionale lombarda, occorre da parte dello stato centrale il pieno riconoscimento del merito acquisito.

La presenza troppo spinta dello Stato può minacciare e limitare la libertà, le iniziative personali e dei corpi intermedi. La dottrina sociale della Chiesa ha elaborato il principio detto di sussidiarietà. Secondo tale principio, “una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48; cf Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno].

Il principio di sussidiarietà protegge le persone e gli enti intermedi dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L’esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa. Nel contesto della comunità politica e sociale lombarda sostenere l’autonomia significa premiare il merito e di fatto contribuire al bene comune di tutta l’Italia.  Con il principio della sussidiarietà si contrastano forme di accentramento, di burocratizzazione, di assistenzialismo, di presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell’apparato pubblico. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società e i corpi intermedi, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese.

Questo è quello che sta accadendo in Lombardia, il 22 ottobre 2017 con un SI possiamo cambiare.

Benedetto Tusa