EGITTO : PERCHE’ I CRISTIANI SONO NEL MIRINO

EGITTO: PERCHE’ I CRISTIANI SONO NEL MIRINO

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Prima la chiesa di San Giorgio a Tanta, vicino Il Cairo. Poi la cattedrale di San Marco ad Alessandria. Quarantaquattro le vittime, oltre centoventi i feriti. Nel giorno in cui si festeggiava la Domenica delle Palme, il 9 aprile scorso, un doppio attentato kamikaze ha allungato la lista di stragi con bersaglio i cristiani copti d’Egitto (circa nove milioni di persone, il 10% della popolazione egiziana).

Le ultime stragi

Questa piccola ma tenace comunità aveva ancora nelle narici l’odore del sangue, che si è trovata di fronte a un nuovo dolore. Appena quattro mesi fa, domenica 11 dicembre, la scia del terrorismo islamico aveva fluttuato tragicamente nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo, adiacente alla cattedrale di San Marco del Cairo. Anche in quel caso il bilancio fu devastante: ventotto morti e una quarantina i feriti.

Stavolta il terrore ha colpito agli albori della Settimana Santa. Toccante il messaggio inviato al vescovo e ai fedeli della diocesi di Tanta da Tawadros II, patriarca della Chiesa copta-ortodossa. Scampato per un soffio all’esplosione nella cattedrale di Alessandria, dove aveva appena finito di celebrare la Messa, il Patriarca ha scritto, come riporta l’agenzia Fides, che le vittime degli attentati “sono stati chiamati in cielo nel giorno di festa, per portare i rami di palma e d’ulivo davanti a Cristo stesso”. Costoro vanno a ingrossare le già robuste fila dei copti “chiamati in cielo”. La Chiesa copta in Egitto, infatti, sta pagando un prezzo di sangue e persecuzione davvero alto. Nessuna comunità locale, nemmeno nel turbolento Medio Oriente, conosce uguale sofferenza.

Persecuzione senza fine

Soltanto negli anni più recenti, la saga di attentati contro di loro sembra non conoscere interruzioni. Nel capodanno 2011, un’autobomba esplose nella chiesa dei Santi, ad Alessandria, lasciando sul selciato i corpi privi di vita di decine di fedeli. Fu forse il preludio dei disordini che avrebbero portato, di lì a poco, Hosni Mubarak a dimettersi dopo trent’anni di presidenza. E la caduta del regime di Mubarak ha coinciso con una recrudescenza della persecuzione anti-cristiana nel Paese nord africano. Con l’autocrate la comunità copta godeva di un certo livello di tutele. Fu Mubarak a richiamare Shenuda III, patriarca della Chiesa copta-ortodossa, dopo l’esilio a cui lo costrinse il suo predecessore Anwar al-Sadat. Fu sempre Mubarak a dichiarare il 7 gennaio, giorno in cui i copti celebrano il Natale, festa nazionale.

Quell’idillio si spezzò nel 2011: la salita al potere dei Fratelli Musulmani inghiottì i cristiani in un vortice di attacchi da parte di gruppi integralisti islamici e di repressione dell’esercito. Fu un vero e proprio massacro quello del 9 ottobre di quell’anno, con almeno trentasei copti uccisi in scontri con l’esercito nel quartiere di Shudra, al Cairo, dove i cristiani erano scesi in strada per protestare contro le vessazioni subite ad opera di teppaglie islamiche. L’ultimo tributo di sangue al governo dei Fratelli Musulmani i copti lo dovettero pagare nell’estate 2013, poco dopo che il presidente Mohamed Morsi fu deposto dai militari. La rabbia dei suoi sostenitori si scatenò contro le chiese e le sedi istituzionali dei cristiani: in poche ore ne furono devastate sessanta, in tutto il Paese.

L’avvento dell’Isis

I copti sono finiti poi nel mirino del sedicente Stato islamico. Nel febbraio 2015 suscitò sgomento in tutto il mondo il video messo in rete sui siti jihadisti che mostrava lo sgozzamento di ventuno lavoratori egiziani copti rapiti in Libia. Alcuni di loro pronunciavano il nome di Cristo mentre la lama affondava nella gola. Ma la bandiera nera dell’Isis iniziò a garrire anche ai venti d’Egitto. Si chiama “Wilayat Sinai”, l’autoproclamato “Califfato” nel Nord Sinai che fa capo a miliziani attivi nella provincia egiziana già dal 2011 con il nome “Ansar Beit al Maqdis”.

Come rivelato nel 2015 all’agenzia Zenit da mons. Kyrillos William Samaan, vescovo copto-cattolico di Assiut, la nascita e lo sviluppo di questo nucleo di terroristi islamici sarebbe da addebitare al Governo Morsi, durante il quale è stata data la cittadinanza a circa tredicimila palestinesi del Sinai egiziano accusati dall’attuale esecutivo di Abdel Fattah al-Sisi di far parte di Hamas e di aver pianificato e organizzato attacchi terroristici in territorio egiziano.

Lotta al terrore

Un duro colpo alla costola egiziana dell’Isis è stato dato dalle forze armate del Cairo nel 2016. Un’operazione antiterrorismo ha portato all’uccisione del leader Abu Duaa al-Ansari e di oltre cinquanta elementi di spicco dell’organizzazione salafita.

È stato un segno concreto dell’impegno di al-Sisi a proteggere i copti dalle aggressioni. La volontà di distensione è dimostrata anche da una legge, approvata nell’agosto 2016, che semplifica la costruzione di chiese cristiane in territorio egiziano.

Intolleranza

La furia anti-cristiana non conosce però ostacoli. Il terrore si diffonde non solo attraverso le grandi stragi. A gennaio, in soli dieci giorni, quattro cristiani sono stati uccisi da musulmani, ad Alessandria, a Menufia e ad Assiut. E ancora a febbraio, nel Sinai settentrionale, quasi millecinquecento copti, ovvero quasi la totalità di quelli che vivono in quella provincia, sono stati messi in fuga da un inasprimento della persecuzione da parte dei fondamentalisti islamici.

Solo di recente, a fine marzo, la situazione nel Sinai si è normalizzata. Molti cristiani hanno fatto ritorno a casa, come riferito all’agenzia Fides da Anba Kosman, vescovo copto-ortodosso di al Arish e del Sinai del Nord. Il presule ha anche riferito che vengono celebrate Messe ogni giorno e che i sacerdoti possono girare liberamente per le strade.

Visita significativa

È in questo clima in cui terrore e speranza si mischiano continuamente, che Papa Francesco visiterà l’Egitto il 28 e 29 aprile. Quella che il Pontefice troverà nel Paese delle sfingi è una comunità copta vessata ma mai doma. Lo sguardo di fede che i copti mostrano dinanzi al martirio è attestato dalle parole pronunciate a dicembre, dopo l’attentato al Cairo, dal primate Tawadros II: “Diamo l’addio ai nostri cari con spirito di lode, perché crediamo che non c’è morte per coloro che amano Dio: loro saranno resuscitati nella gioia alla vita eterna”. Uno sguardo di fede che è un insegnamento per tutti i cristiani, in questo tempo di Pasqua.