cosa non condivido dell’emendato ddl cirinna

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Cosa non condivido del ddl Cirinnà

Cosa non condivido del ddl Cirinnà

L’analisi di Alfredo Mantovano, magistrato e vicepresidente del centro studi Livatino

Lo ha bene sintetizzato il prof. Mauro Ronco, a nome del Centro studi Livatino di cui è presidente: il maxi emendamento del governo sulle unioni civili è un diktat per il Parlamento, è una grave lesione per la democrazia e nel merito è un atto profondamente ingiusto.

Parto dall’ultima affermazione: il testo approvato con voto di fiducia equipara alla famiglia fondata sul matrimonio le convivenze fra persone dello stesso sesso, in virtù della completa sovrapposizione – che lo stesso maxi emendamento realizza – fra regime matrimoniale e regime delle unioni civili. Sono infatti espressamente richiamati per queste ultime gli articoli del codice civile che riguardano il matrimonio, sia nella fase della costituzione, sia nella fase della disciplina della convivenza, sia nella fase del suo scioglimento. La riscrittura del testo rispetto all’originale ddl è il gioco delle tre carte: dove nel ddl c’era un rinvio numerico a un articolo del codice civile adesso si riporta la disposizione testuale, e viceversa. La costituzione avviene con un rito identico a quello del matrimonio: davanti all’ufficiale dello stato civile che raccoglie la dichiarazione dei civil uniti alla presenza di due testimoni. L’unione viene sciolta richiamando le disposizioni della legge sul divorzio, esattamente come avviene come per il matrimonio. Per la durata del “vincolo” sono letteralmente riportati gli articoli 143 e 144 del codice civile che disciplinano il matrimonio. Le parti scelgono il cognome comune, vale fra loro la comunione dei beni, sono estese la quota di legittima e la reversibilità: istituti tutti previsti in modo specifico per il matrimonio. A che serve il richiamo all’art. 2 invece che all’articolo 29 della Costituzione? La sostanza – e anche la forma – è quella del matrimonio fra persone dello stesso sesso, che entra trionfalmente nell’ordinamento italiano.

Lo stralcio della stepchild adoption ha il sapore della beffa. Le Corti europee hanno più volte lasciato i singoli Stati liberi di disciplinare in modo eguale o in modo distinto unione civile e matrimonio. Hanno però avvertito che se si sceglie – come ha fatto il Senato – la strada della coincidenza dei regimi, dall’unione civile non può poi restare fuori nulla di ciò è previsto per il matrimonio, pena commettere una discriminazione. Se così è, non la stepchild adoption, ma l’adozione tout court da parte di una coppia omosessuale sarà autorizzata – dal momento dell’entrata in vigore della legge – da qualsiasi giudice chiamato a pronunciarsi: non a caso le interviste di magistrati favorevoli all’adozione same sex sono un coro di “ci penseranno i giudici”. E’ la ragione che ha fatto acquietare i settori politici più spinti verso l’inserimento delle adozioni nel maxiemendamento: sanno che è solo questione di giorni.

Tutto ciò accade senza che sia stato discusso un solo comma di un solo articolo neanche per una volta in una Commissione di merito o nell’Aula del Senato, da parte di un Governo che fino a qualche giorno fa annunciava che non avrebbe espresso pareri sugli emendamenti presentati, perché rispettava l’autonomia del Parlamento. Finora i maxiemendamenti integralmente sostitutivi di un disegno di legge sono stati presentati su progetti o già approvati da un ramo del Parlamento o approvati nella Commissione di merito, riprendendo il testo uscito dalla Commissione, o su disegni di legge di conversione di un decreto-legge, al massimo con leggere modifiche. Su di essi è stata posta la fiducia o perché vi era un ostruzionismo da superare, o perché – è il caso della legge di stabilità – vi sono dei termini tassativi da rispettare per l’approvazione, o perché – è il caso dei decreti legge – scade il termine di 60 giorni per la conversione in legge. Quanto è accaduto al Senato nelle ultime ore non corrisponde a nessuna di queste situazioni. Vi è stata l’imposizione del Governo al Parlamento di un testo del quale non è mai stato votato un comma, in assenza di ostruzionismo (col 90% dei emendamenti proposti che sono stati ritirati), e senza che vi siano scadenze tassative da rispettare.

Di più. Il Governo ha disprezzato i poteri del Capo dello Stato. Al quale la Costituzione demanda la firma non solo dei decreti legge, ma pure dei disegni di legge del Governo. Perfino l’esercizio da parte di quest’ultimo del potere legislativo nella fase dell’iniziativa è circondato da cautela: il vaglio del Presidente della Repubblica corrisponde all’esigenza dell’equilibrio fra differenti istituzioni. Qui il controllo del Capo dello Stato è mancato: nel momento in cui, come nel caso di specie, il Governo vara un maxiemendamento integralmente sostitutivo di un progetto di legge di un singolo parlamentare è come se proponesse nella sostanza e nella forma un testo proprio, se pur di ripresa/riscrittura del progetto di legge di uno o più parlamentari; ciò è stato fatto senza alcuna autorizzazione da parte del Capo dello Stato. In tale modo il Governo ha esercitato l’iniziativa legislativa in violazione dell’art. 87 Cost. e ha inaugurato un iter senza precedenti, costituzionalmente illegittimo. E’ una palese dimostrazione di forza in violazione delle regole: si chiama arbitrio. Al quale dovranno porre rimedio gli italiani col referendum abrogativo che sarà inevitabile promuovere, e la Corte Costituzionale con un ripristino della legittimità degli atti del Governo.