Italia: è inverno demografico

Secondo l’ultimo rapporto Istat nel 2015 l’Italia ha registrato 15.000 nati in meno e 54.000 bare in più rispetto al 2014. I nati sono stati 488mila, nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia, mentre i morti 653mila: uno scarto negativo di 165 mila unità.
Il tasso di natalità continua inesorabilmente a scendere: nel 2015 siamo arrivati a 1,35 figli per donna, quando il tasso di sostituzione per un Paese che vuole sopravvivere è di norma stimato a 2,1. Non si riscontrano incrementi di natalità in alcuna regione e aumenta anche l’età media in cui una donna diventa per la prima volta mamma, quasi a 32 anni.

  Pochi ma vecchi. In diminuzione risultano sia la popolazione in età attiva di 15-64 anni (39 milioni, il 64,3% del totale) sia quella fino a 14 anni di età (8,3 milioni, il 13,7%). Gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni del totale.

Il ricambio generazionale, peraltro, non solo non viene più garantito da nove anni ma continua a peggiorare: -7 mila unità nel 2007 ; -25 mila unità nel 2010 e  -96 mila nel 2014.

Se pensiamo all’impatto catastrofico che tutto questo avrà sul sistema sanitario nazionale, sulle pensioni etc… capiamo bene dentro quale burrone stiamo precipitando.

Perché in Italia si generano pochi figli?

Innanzitutto, come ha ricordato il professore Tommaso Scandroglio, “è da ricordare che se fosse proibito l’aborto, avremmo un incremento delle nascite tra il 20 e il 25%, senza poi contare i moltissimi aborti prodotti da pilloline varie. Altro che incentivi economici per la natalità. Servirebbero disincentivi giuridici all’aborto se si avesse a cuore davvero il futuro dell’Italia.” 
Al dato di sopra dobbiamo aggiungere però anche la secolarizzazione che incide sui comportamenti morali:

“sessualità sregolata che porta a gravidanze impreviste e quindi rifiutate, piana accettazione di contraccezione e aborto, mancanza di maturità personale che fa slittare il momento di decisioni importanti come sposarsi o diventare madri e padri, rifiuto dell’indissolubilità del matrimonio e precarietà dei rapporti personali che rendono difficile far nascere nel cuore delle persone il desiderio di mettere al mondo un bambino, che necessita come ovvio di rapporti stabili e duraturi”.

La domanda ai nostri governanti sorge quindi spontanea: perché mai dinanzi a un tale sfacelo sociale non investite seriamente tempo e denaro per cercare di riportare in “ordine i conti” invece di preoccuparvi di portare a casa una pessima legge sulle cosiddette unioni civili?

Quali sono le vostre reali priorità?

Samuele Maniscalco
Responsabile Campagna Generazione Voglio Vivere