LA CROCE E LA MEZZALUNA

LA CROCE E LA MEZZALUNA, LA SFIDA FRA FONDAMENTALISMO ISLAMICO E IDENTITA’ CRISTIANA. ALLARGARE GLI ORIZZONTI DELLA RAZONALITA’.

Oltre le sovranità, interna, esterna, personale che si riconoscono ad uno Stato, c’è una sovranità determinabile in senso negativo, attraverso i limiti che lo Stato dovrebbe porre a sé stesso e fra essi ritroviamo il riconoscimento della Chiesa nel proprio ordine, oltre che il riconoscimento di una sovranità personale sulla coscienza di ogni uomo.

Trattare della storia dei rapporti – scontri fra Croce e Mezzaluna, si ritiene che esuli dal contesto in cui questo intervento viene inserito, giova comunque il richiamo a due opere sul tema, la più ampia e scientifica è quella di Alberto Leoni, con prefazione di Mons. Luigi Negri, titolata: “La Croce e la Mezzaluna, Le guerre tra le nazioni cristiane e l’Islam. Una storia militare dalle conquiste arabe dal secolo VII ai giorni nostri” [1], che ripercorre le vicende iniziate con le prime conquiste dell’Islam nel suo primo secolo di vita per arrivare ai fatti successivi all’11 settembre 2001, e quella concentrata sul periodo intercorrente fra la caduta di Costantinopoli (25 luglio 1453) alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) di Arrigo Petacco: “La Croce e la Mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam” [2].

Per evitare il ripetersi della conflittuale e spesso sanguinosa storia dei rapporti fra Cristianesimo e Islam, occorre ripercorre due sentieri ambedue di sovranità: il primo sul versante di una corretta visione del rapporto “fede e ragione”; il secondo su quello del “cristianesimo vissuto” sentiero che porta allo svelarsi pieno e di contagiosa gioia dell’identità cristiana vissuta e non solo conclamata.

Il primo sentiero ci porta alla mente il memorabile discorso di Papa Benedetto XVI, nell’aula magna dell’Università di Regensburg del 12 settembre 2006, titolato “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni[3].

Il discorso provocò scandalo e reazioni contrarie anche violente nei confronti dei cristiani; l’intervento è fondamentale per impostare un corretto dialogo intereligioso con l’Islam che, come si ricorderà, partiva dal dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, svolse nel 1391 nei quartieri d’inverno nei pressi di Ankara, con un erudito persiano che conosceva sia il cristianesimo che l’islam. Fu probabilmente lo stesso imperatore durante l’assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402 a mettere per iscritto tale dialogo, che Benedetto XVI ha riportato al centro del proprio discorso: <<Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l’imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l’imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”. È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l’imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il “Libro” e gli “increduli”, egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. “Dio non si compiace del sangue – egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…”. L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L’editore, Theodore Khoury, commenta: per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un’opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche l’idolatria.>>[4].

Vale la pena proseguire nella lettura che rammenta l’avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco, per proseguire con una dotta trattazione delle tre ondate di de-ellenizzazione, che hanno portato a ritenere in occidente che solo la ragione sia forma universale di pensiero, depotenziando il concetto di sovranità di fede e ragione inscindibilmente unite che ha retto le sorti dell’antropologia sino a Cartesio.

In quest’ottica, Benedetto XVI ci ricorda infatti che, per diventare capaci di un vero e fecondo dialogo tra culture e religioni, dialogo:” di cui abbiamo un così urgente bisogno” necessiti che nel mondo occidentale si affermi una ragione che non sia sorda di fronte al divino e che non respinga la religione nell’ambito delle sottoculture, rendendosi così incapace di inserirsi nel dialogo delle culture.

È questa impostazione dominante oggi in occidente, che viene avversata dalle culture intrinsecamente religiose che ritengono l’esclusione del divino dall’universalità della ragione un attentato alle loro convinzioni più profonde.

Risulta evidente peraltro che sussistono altre ragioni geopolitiche ad originare il sanguinoso scontro, fra occidente e Islam cui tutt’oggi stiamo assistendo, che però ad un attento osservatore risulta non essere uno scontro tra cristianesimo e islam, anche se ha come epicentro i luoghi santi.

La propagandistica definizione dei soldati occidentali o russi come nuovi crociati oscura le vere ragioni della loro presenza sul campo, come errata appare la convinzione di ritenere tutti i mussulmani in occidente dei terroristi.

Lo scontro tra culture religiose sovraniste – ricominciato nel 1979 quando l’ayatollah Khomeini, con il plauso occidentale, deponeva lo scià Reza Pahlavi, modernizzatore alleato degli Usa –  determinò quella svolta radicale di tutto il mondo islamico, il ritorno al richiamo della guerra santa e totale contro il “grande satana” cioè gli Usa , Israele e l’occidente cristiano, una riproposizione e diffusione della tradizione sciita del “martirio per l’islam” che giunge sino a noi oggi attraverso le diverse denominazioni politico-territoriali (Talebani, Al Quaida, Isis, Boko Aram etc.).

Fino al 1980 i rapporti tra cristiani e islam non erano un problema se non in Sudan e tutti temevano il pericolo “comunista” dei partiti filo cinesi o filo sovietici andati al potere in varie aree del terzo mondo.

Occorre quindi, come insegna anche il regnante Pontefice Francesco, sotto il profilo dei rapporti comunicativi culturali, evitare di dare valenza di specifica guerra di religione al clima che stiamo vivendo, ricominciando a dialogare sulla vita.

L’alternativa a tale impostazione è la violenza e la guerra: invece di pensare all’islam in una prospettiva di scontro di civiltà, occorre ripartire dalla considerazione della comune consapevolezza del monoteismo, strada obbligata perché i popoli entrino nell’Alleanza con Dio. Il difetto che i missionari trovano nei paesi in cui svolgono il loro servizio, e che ognuno di noi può cogliere a casa propria, risiede nella difficoltà di individuare la natura dei due mondi religiosi, ognuno dotato di un proprio criterio di sovranità specifico ed ineludibile; questa considerazione deve richiamare l’attenzione dei nostri teologi, filosofi ed intellettuali, dei centri culturali, dei media, delle associazioni, delle università.

Centrale però da parte cristiana oltre allo sforzo fenomenologico e il ritorno ad intra dello sviluppo e approfondimento dell’identità cristiana, una rinnovata ricerca di una sovranità spirituale ed intellettuale della nostra fede, che se non vissuta in modo cosciente e coerente, determinerà la prosecuzione di quel corto circuito fra fede e ragione che si richiamava in esordio, e, pertanto la perdita inevitabile della propria sovranità ed identità culturale e spirituale, e quindi sociale.

“Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce di pensare come si è vissuto”[5] rammenta Paul Bourget, questo grande insegnamento è richiamo al ritorno ad un “cristianesimo vissuto” senza cui ogni dialogo e azione missionaria sono vani.

Sul tema giova il richiamo e lettura alla recente opera di Rod Dreher, titolata “Opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano”[6] utile richiamo per ritrovare la propria piena identità cristiana e riacquistare una sovranità piena sul nostro patrimonio religioso, presupposti, fra l’altro, per istaurare un corretto dialogo intereligioso e di sovranità con l’islam. Due sovrani accorti possono vivere nel proprio ambito rispettando i confini l’uno dell’altro, e implementando gli scambi culturali e commerciali, al fine di arricchire il proprio punto di vista mantenendo la propria identità sovrana nel proprio ambito.

Rod Dreher accende una luce sulla reazione dei monaci di Norcia alla catastrofe che ha ridotto in macerie il monastero del luogo di nascita di san Benedetto, un richiamo per tutti coloro che intendono mantenere o ritornare all’identità cristiana; si legge infatti nelle dichiarazioni dell’Abate di Norcia: “Nell’agosto 2016, un terremoto devastante scosse la loro regione. Quando la scossa arrivò nel bel mezzo della notte, i monaci erano svegli a pregare il mattutino e fuggirono dal monastero riparando per sicurezza nella piazza aperta. Più tardi, padre Cassiano rifletté che il terremoto simboleggiava lo sbriciolarsi della cultura cristiana dell’Occidente, ma che c’era un secondo simbolo di speranza quella notte: ‘Il secondo simbolo erano le persone raccolte attorno alla statua di san Benedetto, in piazza, per pregare’, e il padre scrisse ai sostenitori. ‘È l’unico modo di ricostruire’”[7].

Anche Benedetto XVI dal momento della sua abdicazione si concepisce come un vecchio monaco che, dopo il 28 febbraio 2013, sente come suo dovere dedicarsi soprattutto alla preghiera per la Madre Chiesa, per il Suo successore Francesco e per il Ministero petrino istituito da Cristo stesso.

Perciò, con riguardo all’opera di Dreher, questo vecchio Papa-monaco dal monastero Mater Ecclesiae dietro la Basilica di San Pietro rimanderebbe a un discorso che l’allora Papa in carica tenne al Collège des Bernardins di Parigi il 12 settembre 2008 di fronte alla élite intellettuale di Francia[8].

Il Papa, di fronte al grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione dei popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi, rammenta che i monasteri erano i luoghi in cui sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi, veniva lentamente formata una nuova cultura. Disse allora Benedetto XVI, e si chiese: “Ma come avveniva questo? Quale era la motivazione delle persone che in questi luoghi si riunivano? Che intenzioni avevano? Come hanno vissuto? Innanzitutto e per prima cosa si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione creare una cultura e nemmeno conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo ‘escatologico’. Ma ciò non è da intendere in senso cronologico, come se guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo. […] Quaerere Deum, cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda su Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura.”[9]

Sin qui Benedetto XVI, il 12 settembre 2008, sulla vera “Opzione” di san Benedetto da Norcia.

Come non ricollegare questo sapiente pensiero ad un’altra frase del capitolo 4,21 della Regola di San Benedetto che in egual modo e tacitamente attraversa e anima l’intero libro di Dreher, come fosse il suo cantus firmus. Sono le leggendarie parole “Nihil amori Christi praeponere” che, tradotte, significano: Nulla si anteponga all’amore per Cristo[10]. È la chiave alla quale si deve l’intera meraviglia del monachesimo occidentale.

Benedetto da Norcia è stato un faro durante la migrazione dei popoli, quando nei rivolgimenti del tempo salvò la Chiesa e rifondando con ciò in certo senso la civiltà europea, conservando e fornendo nuovo impulso all’idea di sovranità di una cultura imperitura e inalienabile.

Benedetto Tusa

 

 

 

 

[1] Alberto Leoni, con prefazione di Mons. Luigi Negri, titolata: “La Croce e la Mezzaluna, Le guerre tra le nazioni cristiane e l’Islam. Una storia militare dalle conquise arabe del secolo VII giorni nostri” Edizioni Ares, 2002

[2] Arrigo Petacco: “La Croce e la Mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam” nella collana Le Scie Ed. Mondadori,2005

[3]  http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg.html

[4] Ibidem

[5] Paul Bourget, Il demone meridiano, Salani Editori, Firenze, 1956, p. 395.

 

[6] Rod Dreher, “Opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano ed. San Paolo 2018, p.351.

 

[7] Ibid.pag. 344

[8] Cfr.”Quello che oggi viviamo è solo il crinale di un cambiamento d’epoca”. 11 settembre 2018, a Roma, Palazzo Montecitorio, a presentazione del volume di Rod Dreher, L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano. Nel corso della conferenza, S.E. Mons. Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia, ha svolto una relazione, cfr. testo in lingua italiana:  https://www.circololarocca.it/larocca/quello-che-ogg…iamento-depoca/

 

[9] http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2008/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20080912_parigi-cultura.html

 

[10] http://ora-et-labora.net/RSB_it.html