SOVRANITA’ E’ GARANTIRE AI POPOLI IL DIRITTO DI NON EMIGRARE

SOVRANITA’ E’ GARANTIRE AI POPOLI IL DIRITTO DI NON EMIGRARE

da tablet sino a maggio 2014 024

Il vescovo di Ventimiglia-San Remo, monsignor Antonio Suetta, ha risposto con una lettera alla sollecitazione di circa 110 tra sacerdoti, religiosi, suore, laici e operatori della Chiesa a tutti i vescovi d’Italia sulla questione delle migrazioni e sul crescere del razzismo nel Paese e all’indomani della nota diffusa dalla Conferenza episcopale italiana 

Con grande coraggio ha ribadito che il ruolo profetico della Chiesa non è considerarsi una ONG, non è prodigarsi nell’accoglienza, ma anche e sopra tutto annunciare Cristo, richiamare al diritto di vivere nella propria patria, denunciando il tentativo di sradicamento planetario dei popoli: “senza ossessione di complotti ma anche senza ingenuità”.

La Sua risposta passa attraverso la forte esperienza di Pastore di una Diocesi fortemente coinvolta nel fenomeno dell’immigrazione, in quanto posta su una delle principali rotte dei migranti : “Spesso purtroppo siamo stati testimoni di drammi consumati alla frontiera italo-francese, dove molti migranti giungono nel desiderio di oltrepassare il confine presidiato dalla gendarmeria, alcuni scappando da situazioni pericolose, altri per ricongiungersi a familiari, altri alla ricerca di un lavoro, altri ancora per trovare fortuna e migliori condizioni di vita. Su questo confine si sono consumate grandi tragedie umane, per la morte violenta di uomini e donne (anche incinte) rimaste vittime di incidenti nel tentativo di oltrepassare lo sbarramento francese, percorrendo di notte i binari della ferrovia, la galleria dell’autostrada o il “sentiero della morte” sui monti. A questo si aggiunga la proliferazione di situazioni di criminalità e di business, ad opera dei cosiddetti “passeurs”.”

Partendo da questa esperienza e dall’ascolto, oltre che dalla certezza che:

“Rifiutare, maltrattare, sfruttare quanti si trovano in queste condizioni è intollerabile, come anche il negare l’assistenza e le cure necessarie per la sopravvivenza è contrario all’insegnamento del Vangelo e al rispetto di ogni diritto umano fondamentale.”

Mons. Suetta si chiede, se il ruolo della Chiesa sia solo quello di fornire pasti caldi, riparo, umanità e se ciò possa essere bastevole per risolvere un problema sempre più grave e richiamando la natura della Chiesa che guarda al bene integrale dell’uomo e di tutti gli uomini, nella prospettiva religiosa e morale e dunque la differenzia da una qualsiasi ONG, ricorda l’insegnamento di San Giovanni Paolo II, intervenendo in un Simposio sulla Dottrina Sociale della Chiesa nel 1982: “la Chiesa non ha competenze dirette per proporre soluzioni tecniche di natura economico-politica; tuttavia, essa invita a una revisione costante di qualsiasi sistema, secondo il criterio della dignità della persona umana”.

La Chiesa, secondo il suo Magistero, agisce non in nome di una competenza tecnica, ma attraverso una seria riflessione cristiana che illumina i temi della realtà sociale e i cristiani di fronte agli eventi temporali, possono assumere legittime e diversificate iniziative politiche ponendo fondamento nel Vangelo e nella Dottrina Sociale della Chiesa, ma pur agendo da cristiani non possono pretendere: di agire a nome della Chiesa o di imporre un’interpretazione esclusiva e autentica del Vangelo. La Gaudium et spes, al n. 43, ha espresso questo principio in modo inequivoco: “Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, ciò che succede abbastanza spesso legittimamente. Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall’altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”.

Il centro della riflessione della lettera ricorda come l’esperienza dell’emigrazione sia dolorosa e la sofferenza di chi è costretto a lasciare la famiglia, la casa, la terra, abbandonando affetti, costumi, lingua, cultura e tradizioni che compongono la propria identità; sofferenza della famiglia smembrata; sofferenza della terra di provenienza depauperata spesso delle sue risorse migliori, unitamente alle difficoltà dei popoli occidentali nel realizzare una difficile integrazione, spesso preoccupati – non sempre senza ragione – di preservare la loro sicurezza e la loro identità culturale e religiosa.

 

Il documento prosegue con l’affermare come siano comprensibili: “in questo senso le parole di San Giovanni Paolo II, tratte dal Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni del 1998: “il diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione”. Un principio di giustizia sociale ribadito anche da Benedetto XVI che, nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2013, ha affermato il “diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”. Interpretando l’esperienza e la coscienza di tanti profughi, spesso vittime di sogni e illusioni, ha commentato: “Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un “calvario” per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria”.

L’elenco delle autorevoli citazioni che in parte qui vengono riportate, invita ad una lettura completa e complessiva della illuminante lettera che affronta anche in tema dell’integrazione.

  • Nicolas Djomo, Presidente della Conferenza Episcopale del Congo, all’incontro panafricano dei giovani cattolici del 2015: “Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America” un invito a guardarsi dagli “inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali”, non pare concepibile che uomini siano trattati come merci che si possono sradicare e trapiantare ovunque, se non perseguendo un’idea nichilista che vorrebbe appiattire le culture e le identità dei popoli. “Voi siete il tesoro dell’Africala Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi”.

 

  • Benjamin Ndiaye, Arcivescovo di Dakar capitale del Senegal, “Non abbiamo il diritto di lasciare che esistano canali di emigrazione illegale quando sappiamo benissimo come funzionano, tutto questo deve finire”….“meglio restare poveri nel proprio Paese piuttosto che finire torturati nel tentare l’avventura dell’emigrazione”.

 

  • Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, in Kazakhistan, ha ricordato come i migranti, già vittime di ingiustizie nei loro Paesi d’origine, costretti a subire sfruttamento e gravi difficoltà nei Paesi di arrivo, soprattutto quando scoprono che non ci sono le condizioni di fortuna sperate, siano vittime insieme alle popolazioni occidentali di :“piani orchestrati e preparati da lungo tempo da parte dei poteri internazionali per cambiare radicalmente l’identità cristiana e nazionale dei popoli europei”.
  • Viene inoltre richiamato il Catechismo della Chiesa Cattolica, che al n. 2241, compendia la saggezza, la prudenza e la lungimiranza della Chiesa: “Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto naturale, che pone l’ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono. Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L’immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri.”
  • Papa Francesco, regnante Pontefice che ha sempre riconosciuto che la politica dell’accoglienza deve coniugarsi con la difficile opera dell’integrazione :“che non lasci ai margini chi arriva sul nostro territorio”, negli scorsi giorni precisando come l’accoglienza debba essere compatibile con la possibilità di integrare.

La lettera del Vescovo di Ventimiglia si chiude con la duplice constatazione di come gli immigrati restino: “ai margini delle nostre società, in veri e propri ghetti, in cui parlano la loro lingua e introducono i loro costumi, come in comunità parallele, talvolta in contesti di degrado. Per non tacere del grave fenomeno degli immigrati che finiscono in mano alla malavita o agli sfruttatori del piacere sessuale.” e con l’affermazione di sentire la: “forte la responsabilità di custodire il gregge che mi è stato affidato e di custodire la continuità dell’opera della Chiesa nel nostro problematico contesto sociale, presidio e baluardo di autentica promozione umana. Personalmente, sono convinto che il futuro dell’Europa non possa e non debba rischiare verso una sostituzione etnica, involontaria o meno che sia.”.

Come non considerare la lettura del documento un’utile, anzi necessaria riflessione per la politica?

 

Benedetto Tusa